«Serve memoria condivisa»

Vita Cattolica – 12 febbraio 2015

L’appello del presidente dell’associazione Venezia Giulia e Dalmazia di Udine, in occasione della giornata del ricordo delle foibe e dell’esodo

«Serve memoria condivisa»

Cattalini: «Con la Slovenia un documento comune. Con la Croazia ancora nulla». Salimbeni: «Facciamo una giornata per ricordare tutte le tragedie del ’900»

Dobbiamo «arrivare ad una storia condivisa, anche con la Croaozia cui, finora, non c’è stato verso di avviare una commissione di storici, come quella italo slovena» che ha prodotto un testo comune. È l’appello – capace di guardare al futuro – che ha lanciato Silvio Cattalini, presidente del Comitato di Udine dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, nel corso della cerimonia, celebrata a Udine, nell’auditorium Zanon, per il Giorno del ricordo delle foibe e dell’esodo dei 350 mila istriani, fiumani e dalmati dalle loro terre passate alla Jugoslavia comunista dopo la Seconda guerra mondiale. Una ricorrenza stabilita da una legge dello Stato nel 2004 per fare luce su una tragedia per tanto tempo sottaciuta, ricorrenza che a Udine ha un particolare significato, visto che per il capoluogo friulano – in particolare per il campo profughi di via Pradamano – transitarono 100 mila esuli, dei quali 18 mila si fermarono.

Numerosi gli studenti presenti alla cerimonia, provenienti da 11 scuole (Ceconi, Marinoni, Stringher, Marinelli, Percoto, Malignani, Sello, Zanon, Coperinco, Stellini e Volta), invitati dall’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia che da anni si impegna a far conoscere la storia dell’esodo negli istituti. Vicende che sono ancora poco conosciute. «Gli insegnanti ci hanno fatto qualche accenno, perché dovevamo venire qui, ma nel programma, io che sono in quarta, non ho ancora mai fatto nulla», ci dice Debora Androsso del Malignani. E Mattia Pittacolo, stessa scuola afferma di aver sentito solo «dai nonni qualche accenno su ciò che è successo a Trieste dopo la Guerra».

«Questa cerimonia è importante per riscattare questi fatti dal silenzio che per decenni li ha coperti, poiché non riconosciuti da nessuna parte politica», ha detto il sindaco Honsell, aggiungendo che il dramma va ricordato anche perché «ancora oggi, in tanti luoghi, dalla Siria all’Ucraina, si ripete a causa dell’intolleranza». E se Honsell ha affermato che l’origine di foibe e esodo «risale ai totalitarismi del secolo passato, in particolare il fascismo», il presidente della Provincia di Udine, Pietro Fontanini ha fatto riferimento al «comunismo cattivo, non democratico delle foibe».

«Il coinvolgimento delle scuole diventa un momento di conoscenza e formativo di grande valenza, come importante è la presenza qui della Regione, anche perché dalle vicissitudini del confine orientale essa trae i fondamenti della sua specialità», ha invece affermato il presidente del Consiglio regionale, Franco Iacop.

Come ogni anno, è poi seguita la consegna della medaglia d’oro del presidente della Repubblica ad alcuni figli e parenti di vittime delle foibe e delle violenze dei comunisti titini, riconoscimenti dati dal prefetto di Udine, Provvidenza Delfina Raimondo, e dai sindaci in cui oggi risiedono questi discendenti. Toccante il racconto di una di essi, figlia di un maresciallo dei Carabinieri di un paese in provincia di Gorizia: «Il paese all’improvviso è diventato sloveno. Mio padre è stato prelevato. L’ultima volta che l’ho visto era in carcere. Poi siamo scappati, senza niente».

Un dramma, l’esodo, che ha comportato la cancellazione quasi totale di cultura e lingua italiana da queste terre. E Cattalini, esule da Zara, ha ricordato il caso della sua città, bombardata e rasa al suolo da decine di incursioni degli alleati che sarebbero stati fuorviati, ha affermato, con false informazioni da Tito che mirava a eliminare la presenza italiana nella città per poterla poi annettere a guerra finita, come accadde. «Oggi Zara è un’altra città», ha concluso Cattalini, che nel corso della cerimonia ha ricevuto un riconoscimento peri il suo impegno alla guida dell’associazione dal 1972.

E per il futuro? Oggi l’ingresso di Slovenia e Croazia nell’Ue consente di andare in quelle terre senza dover più superare confini: «Di là il pensiero verso di noi è cambiato – ha detto ancora Cattalini -. Il problema però è la storia non condivisa». Se, infatti, con la Slovenia è stato elaborato un documento da una commissione mista di studiosi italiani e sloveni (per altro ben poco diffuso in Italia), «con la Croazia non c’è stato niente da fare – ha affermato Cattalini Speriamo che sotto l’egida dell’Europa si possa arrivare a qualcosa».

E quella Commissione, ha ricordato lo storico Fulvio Salimbeni, docente di Storia contemporanea all’Università di Udine, che di quel gruppo ha fatto parte, per spiegare le vicende del confine orientale parti non dagli anni ’40 e neppure dalla Prima guerra mondiale, ma da fine ’800, con il rafforzarsi dei nazionalismi e, soprattutto, con la «maledizione dello stato nazionale», come l’ha definita Salimbeni, che in territori multietnici, come quelli dell’Europa orientale non potevano che creare danni, uccisioni ed esodi. E così è successo, non solo per gli italiani d’Istria e Dalmazia, ma in generale per tutta questa parte d’Europa: dai tedeschi dei Sudeti, ai polacchi delle terre cedute all’Urss, agli ungheresi assegnati alla Romania o alla stessa Jugoslavia, agli armeni in Turchia. Un fenomeno quindi vastissimo, al punto che Salimbeni ha fatto propria la proposta formulata alcune settimane fa da Moni Ovadia, di riunire tutti questi fatti – Shoah compresa – in un’unico giorno del ricordo delle tragedie del ’900 «secolo genocida e assassino». Tutto ciò nella speranza che, nel caso di Istria e Dalmazia, nella cultura adriatica di quelle terre anche la componente linguistica e culturale italiana, accanto a quella slovena e croata, possa rimanere viva.

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